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Il mese scorso AlfaBeta ha avuto il piacere di intervistare Giovanni Visone dell’ONG INTERSOS (uno dei nostri clienti). Nell’intervista si discute brevemente del lavoro che INTERSOS svolge in quanto organizzazione e di come ha gestito la crisi dell’immigrazione in relazione alla comunicazione e alla sfera pubblica. Qui di seguito trovate l’intervista, buona lettura:

Prima di tutto potresti dirci qualcosa su INTERSOS e di cosa si occupa l’organizzazione?

INTERSOS è una ONG (organizzazione non governativa) italiana in prima linea nella gestione delle emergenze provocate da calamità naturali e dall’azione diretta dell’uomo.

Da quanto tempo lavori nell’organizzazione?

Lavoro a INTERSOS da quasi tre anni.

Qual è stato l’aspetto più gratificante del lavoro a INTERSOS?

“INTERSOS mentre fornisce assistenza in Iraq”- Immagine fornita dall’organizzazione

 

Il contatto diretto sul campo, ossia viaggiare, esplorare e conoscere le nostre missioni. Entrare in contatto con le persone che assistiamo e soprattutto avere la possibilità di conoscere le loro storie. Di solito la maggior parte del nostro lavoro è tecnico e avviene di fronte a un computer, perciò, quando si va sul campo ci si rende conto di quello che si sta effettivamente facendo e del perché lo si sta facendo.

Credi che in Italia l’attivismo sia ben visto dalle persone?

No. L’Italia è molto diversa dagli Stati Uniti perché qui non c’è una lunga tradizione di attivismo ma piuttosto una tradizione di volontariato religioso. Ecco perché è importante far capire alle persone che il lavoro che stiamo facendo non è gratuito e che siamo professionisti. Le ONG umanitarie devono essere professionali per poter effettivamente aiutare le persone e fare la differenza. L’Italia è un paese che tende maggiormente al volontariato religioso piuttosto che all’attivismo. Inoltre, il lavoro delle ONG umanitarie internazionali è sempre stato complesso, nell’ultimo anno poi si è sviluppato un movimento politico contro le ONG riguardante la questione dell’immigrazione. Questo ha cambiato ulteriormente il modo in cui viene vista la nostra attività. Naturalmente dobbiamo cercare di continuare a fare il nostro lavoro senza farci trascinare all’interno di polarizzazioni politiche. Cerchiamo di comunicare la nostra imparzialità, indipendenza e neutralità.

Negli Stati Uniti, da un punto di vista politico, può succedere che venga attribuita una connotazione negativa all’attivismo (soprattutto se visto come molto “liberal”) così come accade in Italia ma maggiormente accettato a livello culturale; Credi che ci sia una differenza nel modo in cui in Italia si guarda all’attivismo, da un punto di vista culturale e politico, o pensi che vengano percepiti allo stesso modo?

“INTERSOS offre assistenza medica ai migranti al confine francese”- Immagine fornita dall’organizzazione

 

No, non c’è differenza. Però dipende tutto dall’organizzazione: se il lavoro ha una valenza politica, allora certamente si crea una polarizzazione; per esempio, le armi nucleari o altre questioni ambientali, nel nostro caso l’immigrazione. Tuttavia, se si costruiscono scuole in Africa, di solito non si crea una vera e propria polarizzazione. Nessun politico ti attaccherebbe, specialmente se lavori dietro uno scudo religioso. Dipende da quello che fai e dagli obbiettivi del tuo lavoro. A volte, se si è attivisti per i diritti umani è possibile che si entri in conflitto con i partiti politici. Recentemente abbiamo denunciato le violazioni commesse dalla polizia francese e svizzera al confine settentrionale dell’Italia riguardanti il respingimento illegale dei minori (immigrati). Ovviamente, abbiamo creato una polarizzazione in quei paesi. Il che è stato molto interessante perché una parte dei cittadini di quei paesi era dalla nostra parte: alcuni francesi hanno iniziato a condannare la polizia per i respingimenti illegali, ma in Italia non succede proprio la stessa cosa.

Pensi che i social media abbiano un forte impatto su INTERSOS in termini di visibilità e partecipazione, sia che si tratti di donazioni che di volontariato?

Credo che negli ultimi anni i social media abbiano avuto un fortissimo impatto sulla sensibilizzazione e sull’informazione. Questa forma di media informali ha quasi preso il posto dei media tradizionali. L’impatto sull’Italia per quanto riguarda le donazioni è in aumento per quanto non molto significativo e i social media hanno fatto la loro parte. D’altra parte bisogna sempre bilanciare ciò che si fa sui social media con un radicamento sociale: è necessario un lavoro porta a porta e un contatto diretto con le persone per raggiungere i propri obbiettivi.

Con quale frequenza interagisci sui social media?

“Scuola e centro sociale per soggetti vulnerabili in Libano”- Immagine fornita dall’organizzazione

 

Più volte al giorno. Pubblichiamo almeno una volta al giorno su Facebook e Instagram, delle volte anche di più, e poi interagiamo con le persone.

Prenderesti in considerazione l’avvio di una campagna sui social media a nome dell’organizzazione, o una collaborazione con un’altra campagna?

Devi essere davvero al centro del dibattito pubblico. Non è così importante la quantità di denaro investito per una campagna ma come ti vede il pubblico, è da lì che poi diventa virale. Potrebbe succedere, ma considerando gli argomenti di cui ci stiamo occupando ora, probabilmente non succederà. Tuttavia, usiamo i social media per campagne più tradizionali come la pubblicità.

In che modo è cambiato il lavoro a INTERSOS da quando è sorta la questione dell’immigrazione?

Beh, io sono arrivato quando i problemi erano già iniziati. Per prima cosa, prima di entrare nel dibattito politico, abbiamo dovuto decidere di iniziare a lavorare in Italia. Il che è stato strano perché di solito lavoriamo in situazioni in cui il pubblico, lo Stato o la comunità ospitante non è in grado di fornire l’aiuto di cui la gente ha bisogno. L’anno prossimo tornerò dalla Nigeria, dove non c’è più neanche un ospedale in piedi, in Italia è diverso. Se si va in ospedale in Italia bene o male le cose funzionano, ed è anche gratuito. Il problema, quindi, è la presenza di una lacuna politica nel tipo di aiuti che questo paese è stato in grado di fornire e in quanto ONG abbiamo avvertito tale lacuna. Non offriamo nessun servizio a pagamento o che potrebbe essere gestito dallo Stato. Non gestiamo centri ufficiali, che vengono amministrati dallo Stato, perché non è un lavoro umanitario. È un servizio sociale, ma non un lavoro umanitario. Tuttavia, come nostro primo progetto, abbiamo aperto un centro di assistenza sanitaria primaria in Calabria. Ci siamo resi conto che i rifugiati che vivevano in quella zona, una delle più povere del paese, non erano stati in grado di accedere al sistema sanitario nazionale perché non possedevano i documenti necessari. Non c’era nessuna assistenza medica nei centri sanitari. Abbiamo avviato il centro cinque anni fa, e ora che quel modello è stato introdotto nel sistema nazionale della regione, ce ne andiamo vittoriosi. Siamo partiti con l’idea di colmare una lacuna, e ora siamo riusciti a colmarla. Lo stesso vale per i minori non accompagnati, il problema non è che non possono essere aiutati in Italia. Il problema è che non hanno intenzione di chiedere asilo in Italia, di conseguenza diventano invisibili e perdono tutta la protezione da parte dello Stato ed è per questo che li stiamo aiutando noi.

Quale definiresti una delle peggiori interazioni che tu o l’organizzazione avete avuto riguardo la comunicazione con la sfera pubblica?

“Famiglia sfollata ricongiunta nel nord del Camerun grazie a INTERSOS”- Immagine fornita dall’organizzazione

 

Ci sono parecchi narrazioni volutamente false che riguardano le ONG sui social media. Da un lato viene fornita un’informazione orizzontale, il che è molto interessante perché si può accedere facilmente a quelle notizie; dall’altro, è molto pericoloso perché non vi è alcun controllo di ciò che gli altri dicono. Per esempio: c’è stata una campagna su Facebook in cui si diceva che le immagini dei bambini migranti che circolavano erano false. Tuttavia, nessuno verifica personalmente questo tipo di fake news. Questa è la cosa più difficile da affrontare. Ma non ci sono post esplicitamente diretti contro di noi.

Per concludere, qual è il vostro ruolo nel Mediterraneo riguardo le navi di migranti e qual è il parere di INTERSOS sull’etica del coinvolgimento? Inoltre, in base alla tua esperienza, quale sarebbe una buona strategia di comunicazione verso il grande pubblico?

Il nostro ruolo è abbastanza tutelato, perché lavoriamo con la Guardia costiera italiana. Collaboriamo con l’UNICEF e forniamo primo soccorso e sostegno psicologico ai minori non accompagnati e alle donne. Non ci occupiamo di ricerca e soccorso in prima persona, di questo se ne occupa esclusivamente la Guardia costiera. Naturalmente ora si è presentata una questione particolare, perché la Guardia costiera italiana ha salvato dei migranti da una barca in mare, pochi giorni fa. Elaborare una strategia di comunicazione è molto difficile, le ONG sono state colte di sorpresa dal fatto che l’anno scorso abbiamo sofferto molto per questo attacco politico. Quello che possiamo fare è continuare a essere presenti, si spera, per impedire ai bambini di morire in mare, cosa che ormai vediamo quasi ogni giorno. D’altra parte, dobbiamo lavorare in modo intelligente da un punto di vista legale sulle contraddizioni di questo tipo di politica che il governo italiano sta cercando di attuare. Con contraddizioni, intendo dire fino a che punto il governo italiano può fare in modo che la Guardia costiera italiana non effettui attività di ricerca e soccorso. È difficile, perché non è possibile scrivere solo dichiarazioni retoriche sui diritti umani, ovviamente ci vorrebbe ricerca e duro lavoro, ma sento che potrebbe essere gratificante. Abbiamo solo bisogno di un numero sempre maggiore di esperti legali. Come ultima cosa sostengo che, soprattutto in Italia, c’è davvero bisogno di fare molta politica a livello di base. Ho parlato dell’importanza dei social media, ma pubblicare una citazione o una dichiarazione non aiuta tanto quanto la comunicazione faccia a faccia con la società italiana.

 

“Sulla barca nel Mediterraneo con i migranti in cerca di asilo”- Immagine fornita dall’organizzazione

 

Se volete saperne di più, potete consultare il sito web di INTERSOS.

Traduzione di Carlotta Stefanelli

Andrea Spila

Andrea Spila è traduttore e web writer. Prima di laurearsi in filosofia e di ottenere un dottorato in pedagogia sperimentale, ha insegnato l'inglese nelle scuole materne ed elementari. Ha lavorato anche come interprete, in particolare per scrittori e artisti, tra i quali spiccano Rebecca Solnit e Ken Loach. Nel 1999 ha fondato Traduttori per la Pace, un'associazione di volontari che offrono le proprie competenze alle organizzazioni della società civile impegnate nella difesa dei diritti umani e dell'ambiente. 
Oltre a scrivere, Andrea ama cantare, arrampicare e andare in canoa. 

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